Se siete amanti della street art e del trekking, questa proposta è per voi: cosa c’è di meglio di una bella camminata in giro per Milano, ad ammirare alcuni dei capolavori che questa città regala agli amanti della più democratica tra le forme d’arte contemporanee? Il necessario è realmente ridotto all’osso: un paio di scarpe comode, una macchina fotografica e tutto l’entusiasmo di cui siete capaci.
Oggi, 27 ottobre 2019, è una spettacolare domenica di metà autunno: calda come fosse maggio, mi pare la giornata ideale per consumarmi le scarpe alla ricerca di qualche piccolo capolavoro comparso sulla facciata di qualche palazzo, o più o meno di straforo su qualche anonimo muro milanese. Di sicuro non siamo in molti a ritrovarci a gironzolare alle 10 del mattino in zona Lotto, ma l’entusiasmo non mi manca e, appena sbucato in piazzale Lodi con la metro, mi ritrovo a percorrere corso Lodi in direzione sud, per poi infilarmi in via Brembo. 100 metri e alla mia sinistra, all’inizio di via Benaco, c’è la prima stazione di questa personalissima via crucis domenicale.
CUCIMILANO
Sono di fronte a “Cucimilano” di Marco Burresi, in arte Zed1, street artist fiorentino che bazzica per quanto ne so tra Poggibonsi e la mia Certaldo. Le sue opere le trovate un po’ ovunque, a Genova sul muro della Claque in zona Giardini Luzzati, come detto a Poggibonsi, ma ragazzi, date un’occhiata a La via del mare, che il nostro ha piazzato di recente su un muro nel vicentino… Fiabesco, immaginifico, naif, Zed1 mi entusiasma parecchio. E Cucimilano non delude, con la sua storia particolare: nata come omaggio alla Milano della moda e alla sua storia di accoglienza nei confronti di culture diverse, ha rischiato di essere fagocitata dall’aumento degli spazi dedicati ai cartelloni pubblicitari in facciata. Quartiere e Palazzo Marino hanno fatto fronte comune e l’opera, per fortuna, è ancora al suo posto.
Il tempo di fare due scatti e via, ritorno sui miei passi verso piazza Lodi, corso Lodi stavolta a nord, via Lazzaro Papi, piazzale Libia, viale Lazio e via Morosini. Cammino per un po’ attraversando una città sonnacchiosa e arrivo alla mia destinazione.
IL GIARDINO DELLE CULTURE: MILLO
Il Giardino delle culture è uno spazio urbano decisamente particolare: ex area degradata in odore, come tante altre, di essere trasformata nell’ennesimo parcheggio, ma divenuta, grazie all’interessamento del quartiere e di un imprenditore, un luogo di ritrovo per tutti gli abitanti della zona. Appena arrivato capisco subito che questo è un luogo davvero frequentato da chi vive da queste parti. Ma quello che mi ha spinto fin qui sono le due facciate cieche dei palazzi che orlano il giardino, di fatto uno spiazzo di cemento attrezzato che del giardino propriamente detto, in attesa che gli alberi piantati crescano, in questo momento ha davvero poco. Sulle facciate è ospitata “Love seeker” due opere in una di Francesco Camillo Giorgino, in arte Millo, street artist specializzato in grandi opere e dal caratteristico stile naif in bianco e nero. L’opera rappresenta due rabdomanti giganti in cerca dell’amore, tra le strade di una città che appare decisamente poco ospitale. Love seeker non è l’unica opera di Millo che è possibile ammirare a Milano: in via Oroboni, zona Comasina, ad una decina di km dal Giardino delle culture, troverete In Bloom (riporto nella gallery qui sopra una foto presa dal sito di Millo).
La prossima tappa prevede il ritorno verso piazza Lodi e la metropolitana, linea gialla, fino a Maciachini: salto fuori dalla metro alla volta di viale Jenner…
TANGO D’AMORE
Tango d’amore di Cristian Sonda, opera del 2003, è ciò che potete ammirare davanti alla asl milanese, come detto in viale Jenner. La via è praticamente un viale alberato, le auto parcheggiate spesso rendono difficile ammirare l’opera integralmente. Il tema dell’opera sono le malattie sessualmente trasmissibili, l’AIDS in particolare: leggo e riporto dal sito dell’autore www.cristiansonda.com “L’immagine che ho pensato di sviluppare è stata una coppia che ballava il tango sotto le stelle in un prato. Il tango rappresenta la sensualità del ballo, la responsabilità di chi “guida” e la fiducia di chi viene “condotto”, che in sintesi è la responsabilità e la fiducia che bisogna avere nel sesso”. Qui sotto l’opera nella sua interezza appena realizzata (foto dal sito di Cristian Sonda).
Rimessa la macchina fotografica in saccoccia riparto in direzione via Schiaffino, zona Politecnico, mi aspetta una camminata di una ventina di minuti e qualche sorpresa lungo il tragitto…
Arrivo finalmente in via Schiaffino e la prima opera che incontro è Mutevole di Elisabetta Mastro: lascio a lei la presentazione dell’opera, e a me le foto.
Ancora qualche decina di metri eccomi arrivato in zona Politecnico, sono completamente solo, ho fame, ma non credo ai miei occhi: colori saturati come solo Photoshop e linee da città futura…
Tra il 9 ed il 14 aprile 2019, in occasione della Milano design week, questa zona è stata letteralmente trasformata da un manipolo di street artist. 2501, Luca Barcellona, Rancy e Zedz insieme ad una ventina di studenti hanno prodotto ciò che vedete in queste foto, solo parzialmente in realtà: la fame è troppa e intorno a me c’è un vero e proprio deserto domenicale, la missione è trovare cibo…
Dopo un pranzo veloce sono pronto per la parte terminale di questo primo tour tra la street art milanese: l’ultima zona da esplorare è quella del naviglio Pavese. Riparto da via Conchetta, dove nel 2018, per la Music week, è stato realizzata dal collettivo Orticanoodles un’opera di 400 metri quadri sulla fianco di un edificio: un cuore batte nel centro di una sorta di galassia musicale, in cui sono rappresentati tutti i generi e tutti gli strumenti che Mike Oldfield ha utilizzato per il suo capolavoro più noto, Tubular Bells. Il murales è stato realizzato con speciali vernici fluorescenti, per cui risulta visibile al buio: non ho tempo di verificarlo ma ci credo sulla parola. Non ho idea del perché sia stato scelto per l’ispirazione proprio questo disco, che peraltro amo da sempre, ma nonostante ciò quest’opera non mi convince totalmente, mi sembra un po’ “paracula” se mi passate il termine: scoprirò qualche giorno dopo che è stato commissionato da Porsche Italia come regalo alla città, ma anche come strategia alternativa per celebrare la Porsche Macan, visto che il titolo scelto per l’opera è “Macan music wall”. Sarà un bene che le grandi aziende pensino anche all’arte e alle nostre città, ma il tutto mi lascia uno strano retrogusto in bocca. Sarà perché, in fin dei conti, mi sono innamorato della Street Art per la sua carica di “ribellismo”, per la sua grande capacità di analisi e critica sociale: queste cose insomma a me sanno troppo di advertising, di autocelebrazione. Ma naturalmente è solo un’opinione.
Giro i tacchi e mi dirigo verso il naviglio, dove si conclude il giro che, in un futuro prossimo, sarà affiancato da nuovi itinerari.